La rieducazione in carcere passa anche attraverso il teatro
Con il termine rieducazione si intende quell’opera di correzione che viene esplicata nei riguardi di quegli individui che presentano un insufficiente sviluppo mentale o gravi problemi derivanti dall’essersi formati in ambienti socialmente e moralmente inadatti, parola che viene utilizzata con l’intento di prescrivere le giuste condotte, correggere e sancire la pericolosità sociale.
Per contro, l’Ordinamento Penitenziario ricorre al termine rieducazione per richiamare la natura del trattamento che mira, anche attraverso i contatti con l’ambiente esterno, al reinserimento sociale dei condannati, finalità ben rappresentata nell’ultimo film di Riccardo Milani, intitolato “Grazie Ragazzi”, tratto dalla storia vera di un attore svedese, Jan Jonson, che mise in scena Beckett con un gruppo di detenuti.
La pellicola evidenzia l’importanza della recitazione per coloro che, trovandosi in stato di reclusione, sono “tagliati fuori dal mondo” e che, spesso, non hanno a disposizione gli strumenti culturali per conoscere il teatro ed il potere trasformativo dello stesso.
Il teatro rientra, per l’appunto, in un progetto di inclusione sociale ed orientamento professionale atteso che favorisce un processo di presa di coscienza e di crescita personale sia dal punto di vista intellettuale sia etico e rappresenta un deterrente alla devianza ed alla ricaduta.
Vieppiù, l’applicazione delle tecniche e delle arti performative in ambito sociale e sociosanitario è riconosciuta a livello europeo come strumento eccezionale di educazione, riabilitazione ed integrazione psicosociale, tanto è vero che, soprattutto nei contesti penitenziari, l’attività teatrale è affiancata agli altri percorsi trattamentali quale valida opportunità di reinserimento sociale ed arricchimento culturale, incidendo efficacemente in termini di istruzione, capacità di relazione, formazione professionale.
Infatti, poiché la rieducazione in carcere, oggi, mira ad una vera e propria rieducazione sociale, è necessario valorizzare il processo di ritorno alla vita sociale libera ed alla comunità e promuovere il cambiamento nell’ottica di opportunità al fine di scongiurare che i soggetti più vulnerabili si ritrovino in situazioni di criticità e/o di micro criminalità.
Il percorso di inserimento sociale a favore delle persone detenute si basa, proprio, sulla rimozione delle cause sociali, culturali ed economiche che agevolano il verificarsi di questa situazione, nonché sull’affrontare le componenti biologiche, psicologiche e relazionali personali che costituiscono i principali fattori di rischio.
Infatti, lo scopo finale della rieducazione consiste nell’aumentare la consapevolezza ed il potere decisionale del singolo individuo in modo da consentire al medesimo di poter individuare e sviluppare un progetto di vita che tenga conto sia dei diversi contesti: abitativo, familiare, lavorativo e sociale.
D’altronde, come ha scritto Dostoevskij nella sua celebre opera “Delitto e castigo” << il grado di civilizzazione di una società si misura dalle sue prigioni >>.
Avv.ta Cecilia Gerbotto
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