Come vi sentireste se il vostro corpo nudo o un video di un vostro rapporto sessuale fossero visti da tutti senza il vostro consenso? E se a renderli pubblici fosse una persona con cui avete avuto una relazione sentimentale?
Il fenomeno del revenge porn, termine ormai di uso comune, è sempre più frequente. Secondo le forze dell’ordine, in Italia ogni ventiquattro ore compaiono in rete immagini intime di giovani donne, spesso minorenni, messe dal loro ex fidanzato o da uomini di cui pensavano di potersi fidare.
Probabilmente continueremo a chiamarlo revenge porn, ma chi studia il fenomeno è d’accordo nel ritenere che il termine sia improprio, perché non sempre si tratta di vendetta, un concetto che distorce la questione evocando presunte responsabilità della vittima, e perché parlare di pornografia è improprio, dato che non sempre si tratta di immagini definibili pornografiche e che queste dovrebbero comunque essere realizzate con il consenso dei partecipanti. Il termine adottato dalla legge italiana è dunque “diffusione non consensuale di immagini intime”.
Le vittime sono nella maggioranza dei casi donne e i colpevoli sono uomini, partner o ex partner, che spesso creano, soprattutto su Telegram, delle chat di gruppo dove potersi scambiare le fotografie.
Ma perché l’uomo agisce in questo modo?
In alcuni casi gli uomini che pubblicano foto delle loro ex fidanzate nude possono aver bisogno di riaffermare il proprio ruolo di genere, di recuperare il potere che sentono di aver perso con la chiusura della relazione sentimentale. In altri casi la condivisione di fotografie intime rappresenta un motivo di vanto della propria vita sessuale. Pensiamo per esempio a un ragazzino che sceglie di diffondere materiale sessualmente esplicito della propria partner: in questo caso non c’è vendetta, ma la condivisione di una “preda” con i compagni per ottenere un riconoscimento.
In altri casi la motivazione può essere di tipo economico, in quanto chi minaccia di diffondere le immagini intime chiede del denaro, oppure le mette in vendita.
In genere però, si tratta di un gioco di potere messo in atto dagli uomini che in questo modo, da fragili e insicuri, riescono ad acquisire sicurezza e credibilità agli occhi degli altri.
E la vittima?
Gli effetti sulle vittime sono devastanti, pari a quelli di chi ha subito una violenza sessuale. La donna si sentirà esposta, violata nella sua privacy e con un grande timore di essere stigmatizzata dalla società, con possibili danni a livello personale e professionale.
Per le donne è sempre difficile denunciare questo genere di violenza, perché farlo espone a possibili ritorsioni e spesso purtroppo anche al giudizio degli altri.
Il timore, purtroppo spesso fondato, che le immagini non siano arginabili e che possano essere condivise di nuovo e quindi mostrate a persone nuove, genera nelle vittime un senso di impotenza. Il tradimento subito da qualcuno di amato, cambia la percezione di fiducia nell’altro e spesso porta a sviluppare diffidenza e timori per la propria sicurezza personale.
Spesso si aggiunge anche il senso di colpa per non aver colto il pericoloso, l’idea quindi di aver in qualche modo contribuito alla violenza subita.
Cosa dice la legge
In Italia questo reato è stato introdotto nel 2019 con l’approvazione del Codice Rosso sulla violenza contro le donne. La norma fa riferimento alla “diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti senza il consenso delle persone rappresentate”, punita con la reclusione da uno a sei anni.
In un’indagine svolta a marzo 2021 da Women for Security, emerge che l’88% degli italiani sono consapevoli che sia un reato, anche se solo il 75% ritiene che la denuncia alle autorità possa essere una difesa efficace. Inoltre, il 2% ammette di essere stato coinvolto in un episodio, ma solo la metà di questi ha fatto ricorso alla denuncia.
Dott.ssa Sofia Gibelli
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