Il lavoro in Italia diventerà "smart"?

Dal 15 ottobre, secondo l’ultimo Dpcm firmato dal Presidente Draghi, i dipendenti della Pubblica amministrazione torneranno alle modalità di lavoro ordinarie, ovvero in presenza. L’emergenza pandemica ha costretto le aziende e tutte le strutture pubbliche e private a correre ai ripari, per mantenere la propria attività produttiva. Finora, buona parte dei lavoratori ha lavorato secondo la modalità definita “smart working” (anche se non è stata adottata la vera e propria forma originale, semmai una modalità di lavoro “innovativa” da remoto (Chiappetta et al., 2021)). Lo smart working o lavoro agile, consiste nell’accordo tra le parti, in cui il lavoratore può eseguire la sua mansione da remoto, grazie all’utilizzo di strumenti digitali e tecnologici, «in assenza di vincoli orari e spaziali […]», come previsto dalla Legge n.81/2017.

Ma quali sono stati gli effetti percepiti sui lavoratori in smart working?

Secondo un’indagine eseguita da Confindustria, elaborando i dati del Politecnico di Milano, nel 2019 la soddisfazione del proprio lavoro degli smart worker era più alta rispetto a chi lo eseguiva tradizionalmente (il 76% contro il 55%), percepiscono di avere un legame più stretto con la propria azienda (il 31% contro il 19%) e hanno maggior volontà di rimanere all’interno della propria organizzazione (il 71% contro il 56%). Bisogna anche aggiungere che lo smart working è sicuramente più diffuso nel settore dei servizi e nelle imprese più grandi, ma tra il 2018 e il 2019 l’utilizzo di questa modalità di lavoro è cresciuta in tutti i settori dell’industria. Secondo l’Istat nel II trimestre del 2020 il numero degli smart worker sono aumentati: il 19,4% contro il 4,6% nel II semestre del 2019, e sempre più imprese utilizzano lo smart working: tra marzo e maggio il 21,3%, mentre tra giugno e novembre l’11,3%. 

Ma dal punto di vista psicologico, quali sono gli effetti e le conseguenze dello smart working?

Bolisani et al. (2020) hanno condotto uno sondaggio che ha coinvolto 931 lavoratori italiani, utilizzando un questionario composto da 23 domande, in cui venivano chiesti vantaggi e svantaggi del lavorare a casa, sull’uso della tecnologia, cosa pensassero della situazione in generale e alcuni dati anagrafici. Gli aspetti più vantaggiosi percepiti dai partecipanti sono: “l’aver risparmiato tempo nell’uso dei trasporti”, “concentrarsi sul proprio lavoro senza interruzioni”, “lo stare più vicino alla propria famiglia”. Ciò che desta più attenzione e che dovrebbe andare approfondito è che solo il 35% ha risposto di lavorare in un’atmosfera più confortevole rispetto al posto di lavoro. Tra gli svantaggi percepiti, invece, troviamo il “sentirsi più legato al computer in maggior misura rispetto al posto di lavoro”, “la difficoltà di vedersi con i colleghi e altre persone”, “la mancanza di attrezzatura fisica” e il “dover fronteggiare determinate richiese lavorative che non possono essere eseguite a casa”. Gli autori, inoltre, evidenziano che il 45% del campione afferma di non percepire né tanti benefici, ma nemmeno tanti ostacoli al lavoro con lo smart working.

Come si può notare, dunque, la maggior parte del campione non sembra né attratto, né respingente nei confronti dello smart working. Ovviamente bisogna considerare anche la tipologia del lavoro, o l’essere stati “costretti” a lavorare a casa a causa dell’emergenza sanitaria e non per libera scelta. Ciò che non bisogna sottovalutare sono gli aspetti riguardanti le difficoltà relazionali, la scarsa produttività intellettuale o lavorativa e l’aumento dello stress causato dall’essere continuamente connessi. 

Lo smart working è sicuramente un’importante opportunità per il nostro Paese, nell’aumentare sia il benessere che la produttività del lavoratore, a patto che le organizzazioni e i loro manager sappiano essere preventivi, assicurando e “proteggendo”, primariamente, la salute psicofisica dei propri dipendenti.

Dott. Simone Nastasi

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