ERGASTOLO OSTATIVO: la Corte Costituzionale lascia l’ultima parola al Legislatore

Con ordinanza n. 97 dell’11 maggio 2021 la Corte Costituzionale è intervenuta sulla questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte di Cassazione (con ordinanza del 3 giugno 2020, n. 18518) degli artt. 4 bis, comma 1, e 58 ter della legge 26 luglio 1975, n. 354 (“Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà”), nonché dell’art. 2 del D.L. 13 maggio 1991, n. 152 (“Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e di trasparenza e buon andamento dell’attività amministrativa”), convertito, con modificazioni, nella Legge 12 luglio 1991, nella parte in cui escludono che possa essere ammesso alla liberazione condizionale il condannato all’ergastolo, per delitti commessi avvalendosi delle condizioni di cui all’art. 416 bis del codice penale (ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste) che non abbia collaborato con la giustizia.

In particolare, la questione di legittimità sollevata dalla Corte di Cassazione farebbe riferimento agli artt. 3, 27, terzo comma, e 117, primo comma, della Costituzione.

La disciplina codicistica vigente sancisce dunque una presunzione assoluta di pericolosità in capo al condannato, la quale impedisce al Tribunale di Sorveglianza di valutare nel merito la richiesta di accesso alla liberazione condizionale anche laddove il richiedente abbia già scontato gran parte della propria pena e dimostri di aver intrapreso un effettivo percorso risocializzativo (seppur non collaborando con la giustizia). 

Tale previsione legittimerebbe la presenza nel nostro ordinamento del cosiddetto ergastolo ostativo, creando così dei forti contrasti non solo con i principi costituzionali (citati sopra), ma anche con la giurisprudenza della Corte EDU (la quale ha da sempre valorizzato l’esistenza di strumenti per la cessazione di una pena originariamente inflitta per la vita intera in presenza di significativi progressi nel trattamento penitenziario).

Prima di tutto, cerchiamo di fare chiarezza: cosa si intende per ergastolo ostativo? Con tale espressione si individua un particolare tipo di regime penitenziario – introdotto nell’ordinamento italiano all’inizio degli anni Novanta, dopo le stragi nelle quali furono uccisi i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino – disciplinato all’art. 4 bis della Legge 26 luglio 1975, n. 354 (“Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà”), intitolato “Divieto di concessione dei benefici e accertamento della pericolosità sociale dei condannati per taluni delitti”.

Il nostro ordinamento consente agli ergastolani, in presenza di determinate condizioni, di poter godere di una serie di benefici penitenziari (come ad esempio il lavoro all’esterno, i permessi premio, le misure alternative alla detenzione e la liberazione condizionale). Il sopracitato art. 4 bis “osta” alla concessione di tali benefici per tutti quei condannati a tutta una serie di delitti particolarmente gravi, connotati da una peculiare pericolosità sociale (si tratta infatti di reati riconducibili alla criminalità organizzata, alla pedopornografia, prostituzione minorile, tratta di persone, riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù, terrorismo, violenza sessuale di gruppo e sequestro di persona a scopo di estorsione e alcuni reati in materia di droga e traffico di migranti): a differenza del condannato all’ergastolo ordinario, tali benefici sono subordinati alla collaborazione con la giustizia prevista all’art. 58 ter dell’ordinamento penitenziario.

In altre parole, l’applicabilità dei benefici penitenziari non viene riconosciuta a quegli autori di reati particolarmente riprovevoli nell’ipotesi in cui il soggetto condannato decida di non collaborare con la giustizia oppure quando la predetta collaborazione sia pressoché impossibile o irrilevante. La pena dell’ergastolo ostativo coincide dunque, per la sua durata, con l’intera vita del condannato: è quella per cui si usa spesso l’espressione “fine pena mai”.

L’unica “via di salvezza”, quale presupposto necessario e sufficiente, è la collaborazione da parte del condannato, in assenza della quale non vedrà vedersi riconosciuto alcun “premio”.

L’incompatibilità con la Costituzione deriva dal carattere assoluto della presunzione di pericolosità sociale del detenuto, che fa della collaborazione con la giustizia l’unica strada a disposizione dell’ergastolano per accedere alla valutazione della magistratura di sorveglianza da cui dipende la sua restituzione alla libertà.

La Corte Costituzionale condivide tale orientamento sottolineando che la presunzione di pericolosità gravante sul condannato all’ergastolo per i reati di contesto mafioso che non collabora con la giustizia non è, di per sé, in tensione con i parametri costituzionali: la mancata collaborazione, se non può essere condizione ostativa assoluta, è comunque non irragionevole fondamento di una presunzione di pericolosità specifica.

Tale aspetto, invero, si pone in contrasto con la Costituzione solo laddove venga stabilito che la collaborazione sia l’unica strada a disposizione del condannato per vedersi riconosciuta la libertà.

La Corte Costituzionale ha stabilito però che spetterà al Parlamento modificare questo aspetto della disciplina: ha infatti disposto il rinvio della trattazione delle questioni a maggio 2022, per consentire al Legislatore interventi che tengano conto sia della peculiare natura dei reati connessi alla criminalità organizzata di stampo mafioso, e delle relative regole penitenziarie, sia della necessità di preservare il valore della collaborazione con la giustizia in questi casi: “spetta in primo luogo al legislatore, infatti, ricercare il punto di equilibrio tra i diversi argomenti in campo, anche alla luce delle ragioni di incompatibilità con la Costituzione attualmente esibite dalla normativa censurata; mentre compito di questa Corte sarà quello di verificare ex post la conformità a Costituzione delle decisioni effettivamente assunte” (ordinanza n. 97/2021).

È stato quindi riconosciuto un congruo tempo al Legislatore per esercitare le proprie funzioni e varare una disciplina idonea a distinguere la condizione di un condannato alla pena perpetua rispetto a quella degli altri ergastolani.

Dott.ssa Fabiana R. Cecoro