Nel linguaggio comune il femminicidio è l’uccisione di una donna da parte di un uomo perché donna, come atto estremo di prevaricazione, affermazione ultima di superiorità, aberrazione del possesso. Non sono quindi inclusi gli omicidi maturati in altri contesti e con altri moventi.
Questo atto criminale estremo caratterizza un modello di rapporto tra uomo e donna declinato secondo i canoni di supremazia e sottomissione e si riferisce ad ogni atto di violenza, che porti all’omicidio, perpetrato in danno della donna “in ragione proprio del suo genere”.
Tendenzialmente si è portati ad immaginare il femminicidio come l’omicidio avvenuto in ambito familiare e/o affettivo, ed effettivamente è in questo contesto che la maggior parte delle volte la donna soccombe in modo definitivo alla discriminazione nei confronti del suo genere. Il 73% degli omicidi di donne avviene tra le mura domestiche e nel 56% dei casi è il marito, il convivente o l’ex partner ad ucciderla. Spesso si è portati a pensare che l’uomo possa arrivare a questo gesto estremo come in preda ad un “raptus”, ma la realtà è diversa. Gli omicidi maturano in modo lucido, spesso avvengono come atto “ultimo”, preceduti da forme di violenza domestica, sia essa fisica, sessuale, psicologica ed economica. Purtroppo c’è ancora troppa indulgenza verso i colpevoli, che vengono giustificati come in preda ad un “dramma di gelosia”.
L’innesco della violenza è spesso determinato dalla sensazione di minaccia dell’abbandono che l’uomo avverte quando si rende conto che la “sua” donna vuole lasciarlo, separarsi da lui o costruirsi una vita indipendente dalla sua. Questa paura dell’abbandono produce un senso di disperazione, fallimento e solitudine.
Alcune persone sono incapaci di accettare in modo maturo la separazione e danno quindi la colpa all’altro. A questa colpa subentra la rabbia, contraddistinta da emozioni violente e contrastanti di aggressività e passione verso l’altro che si allontana. L’uomo che commette un femminicidio è un uomo che non è capace di governare la rabbia e il desiderio di possesso della donna e sfoga questa frustrazione con la violenza.
Secondo un’indagine ISTAT, nel 2015 il 35% delle donne di tutto il mondo ha subito una qualche forma di violenza. Per quanto riguarda il nostro Paese, invece, 6 milioni e 788 donne affermano di aver subito nel corso della propria vita almeno una violenza fisica o sessuale (dati ISTAT, giugno 2015).
Inoltre, durante il lockdown del 2020 si stima che ogni due giorni una donna sia stata uccisa all’interno dell’ambito familiare, circostanza che ha generato una ricorrente applicazione della Legge sul femminicidio.
La Legge sul femminicidio è un provvedimento legislativo emanato dal Parlamento nel 2013 al fine di contrastare il deplorevole fenomeno della violenza sulle donne, provvedimento che ha apportato diverse modifiche al Codice Penale.
In primis, poiché sono numerose le donne che denunciano episodi di stalking, la Legge sul femminicidio ha introdotto un’apposita aggravante per il reato di atti persecutori nel caso in cui la vittima sia una donna in stato di gravidanza oppure sia una persona della quale il colpevole sia il coniuge –anche separato o divorziato- ovvero colui che alla stessa persona sia o sia stato legato da relazione affettiva –anche senza convivenza.
Parimenti, la Legge sul femminicidio ha inserito le medesime aggravanti al reato di violenza sessuale.
Non solo: la Legge sul femminicidio ha introdotto una nuova misura (pre)cautelare da applicarsi nei confronti di colui che si macchia di violenza di genere e cioè la possibilità per la Polizia Giudiziaria di disporre nei confronti di chi è colto a commettere determinati reati, previa autorizzazione del Magistrato del Pubblico Ministero, l’allontanamento urgente dalla casa familiare con conseguente divieto di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa, qualora sussistano fondati timori di reiterazione delle condotte e di pericolo per le persone offese.
Più precisamente, può essere allontanato d’urgenza dalla propria abitazione colui che è stato sorpreso in flagranza per uno dei seguenti delitti:
-violazione degli obblighi di assistenza familiare
-abuso dei mezzi di correzione o di disciplina
-minaccia grave
-stalking
-altri delitti di violenza
-prostituzione
-pornografia in danno di minore
Il Pubblico Ministero può disporre il giudizio direttissimo nei confronti di una persona che è stata allontanata d’urgenza dalla casa familiare e la contestuale convalida dell’arresto entro le successive quarantotto ore, salvo che ciò pregiudichi gravemente le indagini.
Inoltre, la Legge sul femminicidio prevede, oltre all’aggravante del delitto commesso nei riguardi di donna in gravidanza ed alla predetta misura dell’allontanamento d’urgenza, la possibilità di ricorrere all’ammonimento del questore, strumento introdotto in Italia nel 2009, anno a partire dal quale la vittima può invocare l’aiuto del questore stesso affinchè convochi l’autore del fatto e gli intimi di desistere dal suo comportamento illecito, pena l’inizio di un processo penale.
Un’ulteriore forma di tutela per le donne introdotta dalla Legge sul femminicidio concerne la possibilità di accedere al Patrocinio a Spese dello Stato, a prescindere dal reddito posseduto.
Da ultimo, è necessario richiamare brevemente la più recente tutela introdotta nel 2019 dal Codice Rosso che prevede una particolare procedura d’urgenza per tutti i delitti di violenza domestica, di stalking e, più in generale, di abusi e maltrattamenti familiari.
La Legge sul Codice Rosso ha inserito l’obbligo della Polizia Giudiziaria di comunicare immediatamente al Magistrato del Pubblico Ministero le notizie di reato acquisite, qualora queste riguardino delitti di maltrattamenti, violenza sessuale, atti persecutori e lesioni aggravate commessi in contesti familiari o di semplice convivenza, senza lasciare discrezionalità sulla sussistenza dell’urgenza, circostanza che ha ripercussioni anche sullo svolgimento delle indagini le quali assumeranno natura prioritaria.
Infatti, il Magistrato del Pubblico Ministero ha l’obbligo di sentire la persona vittima di uno dei reati sopra elencati entro il termine massimo di tre giorni dall’avvio del procedimento, salvo che sussistano imprescindibili esigenze di tutela della riservatezza delle indagini, anche nell’interesse della vittima in modo da consentire al PM di valutare fin da subito se sussistono gli estremi per chiedere al giudice l’emissione di una misura cautelare.
Appare evidente come il sistema normativo abbia preso seri provvedimenti per rispondere ai numeri casi di violenza di genere che si registrano in Italia per cui non abbiate paura di denunciare … non siete sole!
Dott.ssa Sofia Gibelli
Dott.ssa Cecilia Gerbotto
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