Nel marzo del 2021 è stata depositata la sentenza di condanna per il reato di revenge porn nei confronti di due donne: la mamma di una bambina frequentante l’asilo della maestra, vittima del reato, e la direttrice dell’istituto.
Una giovane insegnante d’asilo del Torinese ha perso il lavoro a seguito della diffusione di immagini che la ritraevano in atteggiamenti sessualmente espliciti.
La donna aveva inviato proprie foto a contenuto sessualmente esplicito all’uomo che frequentava in quel periodo, il quale ha divulgato – senza il consenso della protagonista – le fotografie sulla chat degli amici di calcetto, fra cui il papà di una bambina iscritta all’asilo dove lavorava la donna.
La rapidità della comunicazione online ha fatto il resto: le foto, dalle chat degli amici, sono arrivate alle mamme di alcune alunne della protagonista delle immagini ed alla datrice di lavoro della maestra.
Sul banco degli imputati finiscono la dirigente dell’asilo dove lavorava l’insegnante ed i genitori di un’alunna della maestra.
Sono state la dirigente dell’asilo e la mamma della bambina, condannate, ad aver utilizzato le fotografie per gli scopi più abietti.
La prima ha ritenuto opportuno inviarle ad un’altra mamma che aveva richiesto di vederle per “curiosità”, la seconda ha intimato la maestra a dimettersi, altrimenti avrebbe dovuto licenziarla riportando nelle motivazioni il reale motivo.
Comportamenti aggravati dall’aggiunta, da parte delle due donne, di commenti crudi e affermazioni del tutto false, come quella secondo cui la maestra era dedita a porre in essere atti pornografici con altri protagonisti presenti in più video.
Assolto in abbreviato, invece, il marito della mamma condannata, il quale aveva originariamente fatto vedere le foto alla moglie.
L’ex compagno, invece, aveva chiesto ed ottenuto la messa in prova presso i servizi sociali.
Il fatto descritto rientra nella fattispecie di reato di revenge porn, di recentissima introduzione con Legge n. 69/2019, nota anche come “Codice rosso”.
Questo intervento normativo è stato ritenuto doveroso a partire dal 2016, anno in cui Tiziana Cantone si è tolta la vita a seguito della diffusione in Internet, contro la sua volontà, di video “hard” che la ritraevano e successivamente al quale era stata oggetto di pesanti offese ed aggressioni verbali.
Il caso, facendo emergere la pericolosità del fenomeno – soprattutto sul piano psicologico –, ha smosso le acque, tanto da far capire l’importanza e la necessità di intervenire anche sul piano normativo per reprimere questo comportamento fin’ora rimasto impunito.
L’art. 612-ter, c.p., rubricato “Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti”, ai primi due commi prevede che “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 5.000 a euro 15.000. La stessa pena si applica a chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video di cui al primo comma, li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare loro nocumento.”
Oggetto del reato è il materiale sessualmente esplicito che viene scambiato da due partner tra i quali vi è una relazione, occasionale o stabile.
Lo scambio di foto, video e messaggi a contenuto esplicito rientra nel concetto recentemente individuato come sexting, condotta di per sè lecita, poiché lo scambio avviene consensualmente tra partener, ciò che viene punito con il neo introdotto istituto di cui all’art. 612-ter, c.p. è proprio la divulgazione senza il consenso di questo materiale.
Fondamentale è distinguere i due tipi di condotta:
– la prima può essere perpetrata da chiunque che, per qualsiasi motivo e per mezzo delle cinque condotte alternative individuate al primo comma dell’articolo sopra citato, faccia circolare foto o video a contenuto esplicito che li abbia creati autonomamente (es.: video effettuato con un proprio dispositivo con il consenso della persona ripresa) o sottratti al proprietario. In tal caso non è necessario che la diffusione avvenga per particolari motivi, ma è sufficiente che vi sia la diffusione del materiale, individuato come dolo generico (anche se il motivo più frequente sembra essere, ad oggi, quello della vendetta, da qui il nome del reato);
– la seconda tipologia di condotta, individuata al comma secondo, è perpetrata dai c.d. “secondi fruitori o distributori”, che ricevute le immagini, le diffondono a loro volta, sempre senza il consenso di chi è ritratto, con un ben preciso scopo: arrecare un danno al protagonista del materiale pornografico (dolo specifico).
Quest’ultima previsione ha sicuramente reso più difficile la configurabilità del reato, infatti può capitare che il comportamento del soggetto che divulghi il materiale, ricevuto spontaneamente, senza lo scopo di danneggiare chi è ritratto non possa essere considerato penalmente rilevante ai sensi dell’art 612-ter, c.p.
È invece perseguibile penalmente, per revenge porn, colui che modifichi immagini di una persona rendendole pornografiche.
Come è di recente accaduto nel salernitano: un diciassettenne ha affisso sui muri del paese le foto del viso della sua ex ragazza di 13 anni, aggiungendo le foto di corpi nudi di altre donne trovate su internet; il ragazzo si trova attualmente in regime cautelare presso una comunità di recupero, .
In tal caso, seppur le immagini divulgate non appartenessero alla persona oggetto di vendetta, è stato ritenuto che tale comportamento potesse integrare il reato di revenge porn, perchè il ragazzo aveva aggiunto sulle immagini l’offerta di prestazioni sessuali a pagamento con il chiaro intento di umiliare l’ex fidanzata.
Questi e molti altri fatti, che stanno riempiendo la cronaca negli ultimi anni, fanno emergere come il reato di revenge porn sia un fenomeno drammaticamente attuale, vario e declinabile in molteplici comportamenti.
L’introduzione della legge c.d. “Codice Rosso” è stato un passo fondamentale per la repressione di tali condotte, ma soprattutto per sensibilizzare l’Italia su un argomento caldo che in altri Paesi era già previsto come reato.
Un primo effetto che possiamo sicuramente rilevare è che le vittime di revenge porn, uomini e donne, si sentono maggiormente tutelate e pertanto hanno meno timore nell’esporre denuncia.
È importante, quando si pensa di essere vittime di revenge porn, parlarne a familiari o amici e chiedere loro aiuto e supporto, anche se ciò potrebbe essere fonte di comprensibili vergogne, e poi denunciare tempestivamente il presunto atto di revenge porn alle forze dell’ordine così da bloccare il prima possibile la diffusione delle immagini.
Dott.ssa Teresa Garritano
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