Pedofilia e Chiesa: due facce di una medaglia?

 

Parlare di pedofilia (perversione sessuale nei confronti dei bambini) non è facile, soprattutto quando la si associa alla figura di un prete. Spesso quando pensiamo al pedofilo, la prima figura che viene in mente è quella di un mostro ossia qualcuno lontano da noi senza riflettere sul fatto che di fronte abbiamo un uomo affetto da disturbi psicosessuali. Un uomo comune con il quale spesso dialoghiamo come per esempio un educatore (un familiare, un vicino di casa, un insegnante o un esponente della Chiesa). 

Se vi chiedessi la prima immagine che vi viene in mente quando pensate al prete, probabilmente la risposta che darete è quello di un profeta che impersona i valori morali e trascendenti che cerca di trasmettere all’interno della propria comunità di fede. Pertanto quando si prende atto che anche il rappresentante della Chiesa possa sbagliare e possa abusare del proprio ruolo per compiere atti spregevoli, la prima reazione, spesso, è quella di prendere le distanze da una cosa che appare inverosimile tanto da considerarla un’invenzione della stampa per macchiare l’immagine della Chiesa. 

Ma il fenomeno di cui vi sto parlando può davvero essere associato alla comunità ecclesiastica?

Assolutamente sì; ci sono documenti e inchieste che attestano che questo fenomeno che recentemente la Chiesa ha dovuto affrontare per via dello scalpore mediatico, ha radici nel passato. Un passato spesso tenuto nascosto, ricordiamo per esempio Pio XII (1922) e Giovanni XXIII (1962) che avevano istituito e approvato il Crimen Sollicitationis, un documento che stabiliva l’assoluta segretezza nelle cause di molestie, pena la scomunica, anche per la vittima che avesse la tentazione di denunciare alla giustizia. Tra i diversi episodi di abusi sessuali da parte dei preti nei confronti dei bambini possiamo ricordare Giulio III (1487-1555) che ha avuto rapporti sessuali con un ragazzo dodicenne, Innocenzo del Monte, che poi verrà proclamato cardinale dallo stesso all’età di diciotto anni o il cappellano Francesco Piccinotti (1864) accusato di abusi sessuali nei confronti di un minore. 

Ma quando esattamente il binomio pedofilia/chiesa è stato messo in luce?

Possiamo dire che tutto è partito da un’inchiesta da parte del quotidiano “The Boston Globe” che nel 2002 ha voluto lanciare una vera e propria bomba, puntando i riflettori sulla condanna di un prete dell’Arcidiocesi di Boston, padre John Geoghan, per molestie sessuali su un bambino di 10 anni, insieme a lui fu condannato il cardinale Bernard Law, per averlo più volte coperto. Il caso sollevò un inevitabile scalpore anche perché diede l’inizio ad ulteriori indagini che dimostrarono che quello di Geoghan/Law non era un caso isolato tanto che, a dimostrazione di ciò, fu commissionato uno studio il “John Jay Report” che dimostrò che tra il 1950 e il 2002, 4392 sacerdoti americani sono stati accusati di relazioni sessuali con minorenni. Questo polverone però non riguardò solo gli Stati Uniti ma anche l’Irlanda, il Messico, l’Italia e altre numerose nazioni. Tra i diversi casi un po’ più recenti che hanno macchiato la Chiesa Cattolica possiamo citarne alcuni come Padre Bill Carney (1993) o Padre Donald Gallagher (1993) e le vicende italiane che hanno coinvolto sacerdoti come Don Ruggero Conti (2008) o Don Mauro Stefanoni (2008).

Ma in che modo agisce il sacerdote abusante e in che modo reagisce il bambino?

La dinamica perversa che accomuna la maggior parte dei religiosi è che spesso gli stessi approfittano di momenti come la Confessione o il colloquio spirituale per entrare in intimità con il ragazzo, mettendo insieme il sacro e l’abuso, creando in questo modo una grande confusione mentale e morale alla vittima.  Infatti il sacerdote approfitta del proprio ruolo per cercare di costruire situazioni che gli consentono di entrare più facilmente in contatto con il bambino. Tra le vittime, sceglie il bambino più vulnerabile, bisognoso, a cui è facile non credere come un bambino piccolo, un disabile, uno zingaro o bambini che faticano a socializzare. Cerca di costruirsi attorno a lui una sorta di ragnatela, facendo credere al bambino che il suo avvicinamento è solo positivo perché solo in questo modo gli può dimostrare il proprio amore. L’obiettivo del sacerdote è quello di creare una sorta di alleanza con il bambino per essere sicuro che non parli. Spesso per tenere in pugno il bambino utilizza la paura, la minaccia, il ricatto emotivo e l’isolamento, aumentando di conseguenza la sua vulnerabilità. Vulnerabilità dettata dal fatto che questa, la maggior parte delle volte, preferisce non esporre denuncia o parlare dell’accaduto con i propri familiari perché da una parte ha paura di non essere creduta, dall’altra si sente profondamente in colpa perché in qualche modo ha paura di fare un torto a Dio nel momento in cui potrebbe attraverso le sue parole gettare discredito nei confronti del sacerdote che lo ama profondamente e che dimostra una particolare attenzione nei suoi riguardi. Quest’ultimo passaggio rappresenta per la vittima una sorta di difesa che si sgretola nel momento in cui prende consapevolezza che quello che gli sta accadendo non è affetto ma è solo orrore generato dalla persona che ama di più e che in quel momento lo sta tradendo. Una volta compresa questa dinamica perversa, la vittima inizierà a non avere più fiducia nella Chiesa, a disprezzare gli adulti, l’autorità e il potere e rischiare di non essere più in grado di creare delle sane relazioni affettive e sentimentali. Nei casi peggiori le vittime possono presentare comportamenti autodistruttivi come fare uso di sostanze stupefacenti o tentare il suicidio nel corso della loro vita. 

Di fronte a questo fenomeno come si è comportata la Chiesa negli anni?

In passato la Chiesa, di fronte alle segnalazioni di abusi sessuali sui minori messe in atto dai propri rappresentanti, ha cercato di insabbiare denunce e coprire i propri sacerdoti, limitandosi a spostare gli stessi da una parrocchia ad un’altra senza intervenire con chiarezza e decisione, e senza alcuna forma di tutela verso le vittime, preferendo un buonismo tanto ipocrita quanto dannoso. Ad oggi la risposta della Chiesa, una volta scoperto il vaso di Pandora, si è incentrata in modo particolare nell’ambito penale, istituendo nel 2010 la nuova disciplina sui delicta graviora, realizzata per dare una risposta chiara e intervenire in modo efficace sui crimini di abuso sessuale e pedopornografia perpetrati dai membri del clero.

Quali potrebbero essere altre possibili soluzioni per contrastare tale fenomeno?

  • Per quanto riguarda il reo: la necessità che nelle diocesi si attivano degli sportelli di ascolto in modo da intervenire dal punto di vista psicologico e spirituale e dare un aiuto concreto ai preti che si trovano in difficoltà per la situazione che stanno attraversando in modo da poter prevenire, da una parte, eventuali sintomi (es. pulsioni sessuali nei confronti dei più piccoli) che non si sono ancora espletati; aiutare dall’altra, le persone a prendere consapevolezza dei fatti commessi (il più delle volte i colpevoli non si rendono conto di esserlo), convincendole del bisogno di intraprendere un percorso di cura.
  • Per quanto riguarda la vittima: oltre ad essere tutelata penalmente, la vittima ha bisogno che la Chiesa le dia la possibilità di non nascondersi e passare in secondo piano, pertanto è indispensabile che questa attivi in tutte le diocesi, sportelli per le denunce in modo da contrastare possibili coperture, facendo in questo modo diminuire il timore di non essere credute. Questo sicuramente rappresenta un piccolo passo per curare le ferite del bambino provando a ricostruire in lui la fiducia che ha perso.

In conclusione possiamo affermare che per conoscere e affrontare il fenomeno è necessario informare i giovani sui rischi che corrono, facendo per esempio delle campagne di informazione nei centri educativi come scuole o oratori.

Voi siete d’accordo?

Dott. essa Tumbarello Gessica