Donne killer: il caso Caleffi

Uno degli aspetti di cui si occupa la criminologia è quello di analizzare la criminogenesi, ciò che porta il soggetto a commettere l’azione delittuosa. I motivi per i quali si uccide possono essere svariati e complessi. Una delle differenze tra donne e uomini è quella del movente: spesso negli uomini il movente è sessuale, nella donna può apparire meno chiaro e più complesso. Oltre al movente, una delle maggiori differenze tra uomini e donne che uccidono è il cosiddetto modus operandi: gli uomini spesso hanno un approccio più fisico alla vittima, più aggressivo e più diretto; le donne si approcciano in modo più subdolo e indiretto, utilizzando spesso forme di avvelenamento, il veleno utilizzato permette alla donna di lasciare meno tracce possibili e avere il controllo sulla vittima.

Spesso le donne killer sono persone a cui ci si affida, che appaiono empatiche e accoglienti. Un esempio sono le infermiere “angeli della morte” che utilizzano il potere dato loro dalla propria posizione professionale per uccidere i propri pazienti, sicure di fare il loro bene e di salvarli.

Un caso tutto italiano è quello di Sonya Caleffi.

Il caso

Sonya nasce a Como nel 1970 e cresce in un ambiente familiare sereno. Durante l’adolescenza soffre di anoressia e di una grave forma di depressione. Nel 1994 consegue il diploma da infermiera e inizia a lavorare in diversi ospedali. 

Nella sua carriera lavorativa, dal 1994 al 2004, ha diversi problemi e manifesta diverse carenze a livello professionale. Anche nella vita privata ha diverse delusioni, tra cui un matrimonio durato poco.

Nel 2002 tenta il suicidio, tentativo che verrà ripetuto altre tre volte. 

Nel 2004 Sonya viene assunta come infermiera nell’ospedale Manzoni di Lecco. Dietro segnalazione di alcuni familiari dei pazienti e dopo aver constatato un numero troppo alto di decessi nel reparto di Sonya, proprio quando lei è in turno, iniziano le indagini che portano all’arresto della donna.

Le vittime accertate per mano di Sonya sono 5, potenzialmente è stato valutato che potrebbero essere 18: iniettava aria nelle vene dei pazienti e il loro corpo iniziava pian piano a collassare.

Se da un lato la donna dichiara che la sua volontà era soltanto quella di farsi notare dai suoi colleghi ed intervenire per salvare i pazienti stessi a cui iniettava aria, dall’altra dice che i pazienti che soffrivano molto le facevano pena e voleva soltanto aiutarli a non soffrire più.

Risulta da una lettera scritta dalla donna “Volevo solo attirare dell’attenzione su di me perché mi sentivo sottovalutata. E poi quelle persone destinate a morire in poco tempo mi facevano pietà. Ecco perché ho accelerato i tempi del loro decesso”. (1)

La condanna per la donna è di 20 anni. Nel 2018 Sonya è libera, dopo aver scontato 14 anni, con pena ridotta per indulto e per buona condotta, nel carcere di Bollate.

Spunto criminologico

Dalla storia della donna emergono vissuti di forte depressione, sentimenti di vuoto e stati dissociativi. Dalla perizia psichiatrica viene diagnosticato un disturbo borderline di personalità con affettività negativa, compromissione dell’esame di realtà, immagine instabile di sé e compromissione nel funzionamento interpersonale.

Emergono, inoltre, tratti narcisistici di personalità, tra questi il bisogno di farsi notare dai suoi colleghi, la forte invidia nei confronti degli stessi e il bisogno di approvazione. (2)

Dal punto di vista criminologico la donna utilizza un modus operandi in linea con le ricerche che vedono le donne agire in modo più indiretto sulla vittima, con minore contatto fisico.

La donna, ritirata dal punto di vista sociale per tutta la sua vita, sembra aver raggiunto l’obiettivo di essere finalmente notata e ricordata da tutti. 

Dott.ssa Rossella Borneo

  1. https://www.fanpage.it/attualita/iniezioni-daria-ai-pazienti-per-ucciderli-la-storia-dellinfermiera-killer-sonya-caleffi/
  2. https://profilicriminali.it/2019/05/06/infermiera-killer-lecco/