Disabilità: il diritto di essere sessualmente affettivi

La sessualità è un aspetto centrale dell’essere umano, che ve ben oltre il solo genere sessuale e la riproduzione, ma riguarda sfere più ampie come le identità e i ruoli di genere, l’intimità, l’orientamento sessuale, il piacere. Tutti elementi influenzati da fattori biologici, psicologici, sociali, etici, storici e religiosi. 

Inoltre, la sessualità è fortemente legata all’aspetto culturale di una società che ne determina alcuni criteri, quali l’età di entrambi i partner, la reciprocità, la responsabilità, la volontà di entrambi i partner, la coscienza di sé. 

Tali criteri diventano più imponenti quando si tratta della disabilità.

C’E’ DIFFERENZA TRA LA FORMA DI DISABILITA’ E L’ESPRESSIONE SESSUALE?

Quando si parla di disabilità fisica, ci riferiamo ad una persona che è in grado di esprimere la sua sessualità e allo stesso tempo di assumere coscientemente le regole dettate culturalmente. Spesso il pregiudizio e l’ipocrisia portano a pensare che la sessualità della persona con disabilità fisica vada trattata come “diversa”, “impossibile”, e non “normale”. In questo caso, combattere il pregiudizio, significa accettare la libertà di scelta di un soggetto adulto, con disabilità, ma in grado di intendere e di volere. 

Lì dove ci troviamo dinanzi ad una disabilità intellettiva, la situazione diventa oltremodo più complessa. Il tipo di disabilità che colpisce la persona è tale da non renderla capace, da sola, di osservare le regole di comportamento più adeguate. Questo rende impossibile, in alcuni casi, l’accettazione culturale della sua sessualità. La persona con disabilità viene vista come l’eterno bambino, persona asessuale o riconosciuta nella sua sessualità e affettività solo nei comportamenti problema.

C’è, però, un’ulteriore osservazione da fare. Poniamo il caso di una donna con disabilità intellettiva medio-grave, con incapacità nella responsabilità di fare. Se da un lato, è suo diritto, in quanto persona, dare espressione alla sua affettività, dall’altro è più esposte al rischio di subire un abuso. La donna potrebbe non avere la possibilità di difendersi dal punto di vista emotivo-relazionale, se non preparata adeguatamente alla conoscenza dell’affettività e della sessualità. In aggiunta, si incorre nel rischio che l’abuso subito non venga riconosciuto come tale.

Dinanzi ad una disabilità intellettiva, ci troviamo a dover avviare interventi specifici, specialmente da un punto di vista educativo, che aiutino a sdoganare i determinati preconcetti culturali. 

 

La stessa Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità, approvata nel 2007 e successivamente ratificata in Italia riconosce la necessità di non discriminare le persone con disabilità nel pieno godimento dei propri diritti, stabilendo una base comune etico-giuridica negli interventi di educazione e tutela della sessualità umana anche per le persone con disabilità.

MA CHI DOBBIAMO FORMARE ED EDUCARE ALLA SESSUALITA’?

Sviluppare un’affettività e una sessualità competenti, significa trasformare i bisogni in desideri, poiché il desiderio implica un impulso, diretto ad un oggetto esterno specifico e implica esso stesso l’immaginazione e l’affettività.

L’esercizio della sessualità disabile, spesso, viene limitata, se non addirittura negata, facendo finta che non esista. Oppure percepita come comportamento problema – aspetto non curato, scarsa igiene personale, mancata acquisizione del senso comune del pudore sociale, ossessioni-compulsioni sessuali, indifferenziata o promiscua scelta del partner, incapacità nel riconoscere un’interazione sessuale non gradita –  risolvibile con il controllo farmacologico o con tecniche di rieducazione e spostamento del sintomo.

Lo sviluppo relazionale-sociale, e poi sessuale, hanno inizio nel corso dell’infanzia e progrediscono nel corso della vita. Anche le persone con disabilità intellettiva devono ricevere un’educazione alla sessualità, essendo la sessualità una dimensione fondamentale nella vita dell’individuo. È opportuno, che anch’essi vengano aiutati a muoversi verso la maturità sociale e sessuale, e necessitano di opportunità ed occasioni per sviluppare le amicizie e le relazioni.

È doveroso dire, però, che la sessualità andrebbe insegnata e appresa attraverso le relazioni l’affettività, la socializzazione e sin dall’infanzia, attraverso la famiglia.

È per questo che l’intervento educativo deve essere fatto sia sui ragazzi con disabilità, che sui genitori, i quali si trovano, spesso, si trovano in tre tipi di situazioni:

  • Il problema viene visto, è presente alla coscienza, ma si preferisce negarlo;
  • Rimozione del pensiero: il problema resta lì, viene solo messo da parte perché crea crisi e senso di inadeguatezza;
  • Il problema viene identificati, delimitato e scartato, in quanto crea difficoltà nella sua gestione.  

Il supporto ai genitori può essere pensato attraverso counseling o percorsi psicoterapeutici anche prima del sopraggiungere della pubertà del figlio/a, per arrivare preparati al momento.

Inoltre, un importante supporto psicologico e formativo deve essere destinato agli operatori/caregivers delle strutture sanitarie che spesso si ritrovano a non avere i mezzi più adeguati per rispondere alle richieste e bisogni degli utenti. 

Bisogna considerare che, i comportamenti sessuali inappropriati potrebbero essere sono sintomi di difficoltà più sommerse che riguardano la cognizione, l’affettività e l’emotività.

Diventa importante educare e insegnare l’affettività, ma anche programmare visite ginecologiche e andrologiche, esattamente come avviene nell’adolescenza normotipica.

IN CONCLUSIONE…

Possiamo affermare che “la sessualità e l’espressione sessuale delle persone disabili continuano ad essere controverse e gravide di pregiudizi” (Wolfe, 1997).

Inoltre, è da riconoscere che gli adolescenti disabili hanno meno contatto con i compagni al di fuori del contesto scolastico e/o familiare. La conseguenza è una rete sociale e affettiva sicuramente estesa e gratificante.

Vi sono ancora troppe barriere da abbattere affinché ogni individuo, disabilità o meno, si possa sentire libero di dar voce ai propri diritti. 

Dott.ssa Lucia Sportelli