Con “coppia criminale” si fa riferimento a due individui che si uniscono per perpetrare un crimine. La maggior parte dei criminali commette i propri delitti da solo o coinvolge altri soggetti solo per caso, per questo motivo il fenomeno della coppia criminale è meno comune. Questa è formata da due personalità distinte ma complementari: il dominante e il sottomesso. La personalità dominante è il capo della coppia, che manipola e controlla totalmente la personalità sottomessa. Il primo è il soggetto induttore, più freddo emotivamente, forte e intelligente; il secondo è il soggetto debole, meno intelligente e facilmente suggestionabile dal primo.
Un disturbo osservato di frequente nel soggetto dominante è il disturbo narcisistico di personalità, caratterizzato da idee di grandiosità, costante bisogno di ammirazione e mancanza di empatia. Spesso il narcisista sfrutta gli altri per raggiungere i propri scopi ed obiettivi, noncurante dei loro sentimenti, e dopo aver raggiunto lo scopo può arrivare persino a liberarsi di loro. I pazienti narcisisti sono inclini ad un particolare tipo di rabbia: la rabbia fredda, legata all’elaborazione di un sentimento molto profondo, la vergogna. Questi non sono in grado di tollerare la vergogna, e perciò possono arrivare a mettere in atto comportamenti violenti nei confronti di chi gli fa provare quel sentimento così paralizzante. Questo meccanismo può essere alla base di comportamenti come lo stalking e l’omicidio. La vergogna iniziale per un torto subito viene poi sostituita da sentimenti di rabbia e volontà di vendetta, che possono portare il soggetto a commettere reati violenti.
Il soggetto sottomesso invece è spesso affetto da disturbo dipendente di personalità, caratterizzato da comportamenti di dipendenza e sottomissione attribuibili a una scarsa fiducia in sé stessi, sottomissione patologica nei rapporti, difficoltà a esternare il proprio dissenso e incapacità di essere assertivi. I pazienti dipendenti hanno una pervasiva ed eccessiva necessità di essere accuditi, che determina un timore della separazione e che può portarli al punto di compiere qualsiasi atto, pur di ottenere accudimento e supporto dagli altri.
La manipolazione del soggetto dominante porta il soggetto sottomesso a compiere azioni che non avrebbe mai commesso da solo. La relazione è asimmetrica: il membro forte della coppia prevale sul membro più debole, che viene considerato al pari di un oggetto nelle sue mani.
Spesso il soggetto dominante è affetto da disturbo delirante, che tende a trasmettere anche alla personalità sottomessa, nel cosiddetto delirio condiviso. Il soggetto sottomesso all’interno della relazione patologica si trova a condividere, in toto o in parte, le convinzioni dell’induttore, ovvero il soggetto dominante.
Secondo Sighele (1909) esistono 4 tipologie di coppie criminali:
- Gli amanti assassini: è uno dei due amanti a spingere l’altro a commettere il crimine. Il soggetto dominante fa leva sui sentimenti del soggetto sottomesso.
- La coppia infanticida: il figlio viene considerato come una minaccia all’equilibrio della coppia, e per questo motivo deve essere eliminato.
- La coppia familiare: il delitto nasce all’interno della vita comune di due membri appartenenti alla stessa famiglia, il cui scopo è l’arricchimento materiale.
- La coppia di amici: nasce spesso in ambienti come il carcere o in posti dove si ritrovano senzatetto o tossicodipendenti. In questo caso, alla base della suggestione criminosa c’è un forte legame di amicizia tra i due soggetti.
Ma cosa spinge due persone a restare così unite?
I due si incontrano per colmare l’uno i bisogni dell’altro: il soggetto sottomesso ha bisogno di avere qualcuno che si occupi di lui e che lo faccia sentire al sicuro, il soggetto dominante ha bisogno di qualcuno che alimenti la sua necessità di grandiosità e che sia a completa disposizione per il soddisfacimento dei suoi bisogni.
Erika e Omar: il delitto di Novi Ligure
In Italia, un caso emblematico di coppia criminale è rappresentato da Erika e Omar, autori del tristemente noto Delitto di Novi Ligure, avvenuto il 21 febbraio del 2001. Quella notte sono stati brutalmente uccisi la madre di Erika e il fratellino.
I responsabili, rei confessi poco dopo l’accaduto, sono due giovanissimi fidanzati, Erika e Omari, rispettivamente 16 e 17 anni. Il movente sarebbe rappresentato dalla volontà di maggiore libertà da parte di Erika, nonostante lei e Omar si vedessero molto spesso.
Secondo quanto emerso dalle loro confessioni, la coppia avrebbe premeditato il delitto molto tempo prima, pianificandolo nei minimi dettagli.
Il soggetto induttore, e quindi la personalità dominante, è Erika, che spesso faceva leva sui punti deboli di Omar, a volte anche ricattandolo. Il ragazzo, a cui è stato diagnosticato un disturbo dipendente di personalità, era totalmente sottomesso a lei: questo lo portava ad essere dipendente dalla fidanzata e terrorizzato all’idea di un possibile abbandono, terrore su cui la ragazza faceva presa. Omar temeva che anche il minimo disaccordo potesse minare la relazione con la sua amata e per questo motivo era disposto a fare qualunque cosa per dimostrare il suo amore, persino uccidere.
I periti hanno invece diagnosticato ad Erika un disturbo narcisistico di personalità: la ragazza presenta un quadro di grandiosità, necessità di ammirazione, mancanza di empatia e sfruttamento interpersonale. È stata molto abile a manipolare il proprio fidanzato, fino a condurlo al suo obiettivo finale: l’omicidio della sua stessa famiglia.
L’esplosività della coppia criminale deriva proprio dall’unione di due individui profondamente disturbati, che si completano a vicenda.
Questo esempio è emblematico non solo perché rappresenta con chiarezza il funzionamento della coppia criminale – che secondo la classificazione di Sighele apparterrebbe alla categoria degli amanti assassini – ma anche perché i due protagonisti sono due ragazzi giovanissimi, all’epoca dei fatti ancora minorenni.
Il delitto commesso sarebbe perciò interpretabile come espressione di un disagio evolutivo proprio del periodo adolescenziale, che si manifesterebbe quando il giovane si trova alle prese con la costruzione di un’identità autonoma, e dunque con il conflitto dicotomico dipendenza/indipendenza dai propri genitori.
Dott.ssa Sofia Gibelli
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