Parlarne non è semplice quando nell’immaginario comune si associa automaticamente alla pedofilia la figura di un uomo, spesso di mezza età, ma anche se non se ne parla, esiste.
Secondo il Manuale Diagnostico Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5), il disturbo pedofilico:
– Consiste in un’eccitazione sessuale ricorrente ed intensa manifestata attraverso fantasie, comportamenti e desideri, che comportano attività sessuali con un bambino in età prepuberale (sotto i 13 anni)
– L’individuo ha almeno 16 anni ed è almeno di 5 anni maggiore del bambino.
Al contrario di quanto si è portati a pensare, i comportamenti pedofilici sono presenti sia negli uomini che nelle donne, e la pedofilia femminile sembra essere sempre esistita al pari di quella maschile. Già nella Grecia antica era una pratica consueta ed accettata: la poetessa Saffo, vissuta nel VI secolo, dirigeva nell’isola di Lesbo un’associazione religiosa nella quale le bambine venivano educate a diventare donne apprendendo la cura della casa, delle persone ed il piacere sessuale.
Perché è così difficile credere che anche una donna possa abusare di un minore?
Perché solitamente alla donna è associata l’idea di maternità, e la madre è considerata una figura protettiva e rassicurante. Inoltre, alla sessualità femminile è stata per lungo tempo attribuita una valenza passiva, considerando la donna priva di desideri sessuali.
Riconoscere una donna sessualmente attiva, immaginare che possano esistere delle perversioni femminili, o pensare che una madre possa abusare di un minore è ancora una realtà negata dalla maggior parte delle persone. Per questo motivo fare una stima precisa del numero di casi è difficile, anche se secondo alcuni studiosi (Petrone e Troiano, 2010) la pedofilia femminile rappresenterebbe circa il 5/7% degli abusi perpetrati.
Le tipologie
La pedofilia femminile si può classificare in tre categorie:
- Pedofilia intra familiare→ si manifesta all’interno delle mura domestiche, dove spesso la famiglia è disfunzionale e rigida. Solitamente l’incesto tra madre e figlio non è accompagnato da atti di violenza, anzi le manifestazioni della donna si mescolano con gli abituali gesti di cura e accudimento, intrappolando la vittima in uno stato confuso di obbedienza e devozione.
Spesso la famiglia è chiusa in sé stessa e per questo motivo è molto difficile che un abuso possa uscire allo scoperto.
- Pedofilia extra familiare→ si manifesta all’esterno della famiglia, ed è caratterizzata da desiderio di potere e dominio. Spesso è legata al turismo sessuale, mentre altre volte si concretizza in ambienti come la scuola e i centri sportivi. La donna utilizza la violenza per convincere la vittima a tenere il loro segreto.
- Pre-Pedofilia → è una particolare forma di pedofilia che vede la donna coinvolta non in prima persona, ma come complice di colui che invece abusa davvero del minore. Questo tacito consenso, nel quale la donna “fa finta di non vedere”, rappresenta un ulteriore elemento di tradimento nei confronti del minore.
La pre-pedofilia può manifestarsi anche in modo più mascherato, come nel caso delle madri che offrono i propri figli al compagno pedofilo.
L’abuso avviene dopo una fase di avvicinamento, dove il carnefice riesce a conquistare la fiducia della vittima, specie se si tratta di un soggetto fragile e con pochi punti di riferimento, per poi passare ad introdurre gradualmente la componente sessuale.
La componente sessuale e quella romantica vanno di pari passo: le donne pedofile si convincono di avere una storia con il bambino, e utilizzano l’amore come uno strumento per far nascere un enorme senso di colpa nella vittima. Questa, dopo aver ricevuto “cure” e “attenzioni”, sente di non potersi tirare indietro, e si trova a vivere una dissonanza cognitiva che le impedisce di avere una visione chiara della situazione, in quanto colei che dovrebbe occuparsi di lui/lei in realtà impone comportamenti sessualmente intrusivi e non adatti all’età.
Il caso dell’infermiera di Prato
Nel marzo del 2019, un ragazzo di appena 13 anni racconta ai genitori di avere una relazione con la sua insegnante, operatrice socio-sanitaria, che il pomeriggio impartiva lui lezioni di inglese. Dopo il racconto, i genitori hanno immediatamente sporto denuncia, dando inizio alle indagini. Gli inquirenti hanno raccolto informazioni, testimonianze ed elementi consistenti, come le chat trovate sui telefoni del ragazzo e dell’insegnante. Lo scambio di messaggi, dal contenuto inequivocabile, si è presto concretizzato in una prova schiacciante per la procura di Prato.
La relazione andava avanti dal 2017. Nel 2018 la donna, sposata e con un figlio, aveva avuto un secondo figlio che a seguito del test del Dna, si è scoperto non essere del marito, ma del 13enne. Il marito della donna avrebbe tentato di attribuirsi la paternità del figlio, motivo per cui è stato imputato nel procedimento penale.
La donna è stata condannata lo scorso giugno a sei anni e sei mesi per atti sessuali e violenza sessuale per induzione su minore, mentre il marito è stato condannato a un anno e otto mesi di reclusione per alterazione di stato civile.
Ciò che colpisce di questa vicenda non è solamente l’atto ignobile di aver abusato di un minore, ma anche l’impatto di genere. Per raccontare la tragedia, nessuno ha inizialmente usato il termine “pedofilia”. Si sono invece sprecate riflessioni empatiche su “amore” e “atti sessuali consensuali”, ad ulteriore riprova che nella nostra cultura la donna è prima di tutto madre. È quindi necessario porre attenzione al fenomeno della pedofilia femminile, che non è in alcun modo meno letale e meno pericolosa di quella maschile.
Le conseguenze per il bambino o per la bambina sono devastanti, e possono trascinarsi per tutta la vita. La vittima potrebbe infatti sviluppare difficoltà nel vivere la sessualità, ricercare per tutta la vita donne più anziane o non riuscire ad avere relazioni stabili. Ancora, potrebbe cadere in depressione, avere problemi di ansia e disturbi del comportamento alimentare.
Dott.ssa Sofia Gibelli
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