Scuola e metodi correttivi altamente illeciti

A chi non è capitato, almeno una volta, di vedere al telegiornale immagini e video di bambini maltrattati dai propri insegnanti?

Ebbene, il tema dei maltrattamenti degli insegnanti ai danni dei propri alunni è un tema che negli ultimi anni ha riempito sempre più spazi all’interno dei vecchi e nuovi media. Il fenomeno, in sensibile aumento, ha scaturito in ognuno di noi sentimenti quali indignazione e rabbia, soprattutto perché spesso si tratta di bambini molto piccoli.

Ma cosa spinge queste figure, fondamentali negli anni della scolarizzazione, ad adottare comportamenti maltrattanti a discapito dei loro allievi? Approfondiamo insieme.

Innanzitutto è importante sottolineare che, nel momento in cui si verifica il naturale passaggio dal mondo familiare al mondo scolastico, il bambino ha il diritto di trovare un ambiente adeguato per poter apprendere le prime regole della vita sociale e sviluppare il suo processo di crescita in maniera serena, con l’aiuto di insegnanti e operatori qualificati. In particolare, la scuola dell’infanzia costituisce un ambiente educativo all’interno del quale i bambini passano diverse ore insieme, prendono coscienza della propria identità, scoprono le diversità e apprendono le prime regole della vita sociale.

Analizzando gli elementi delineanti la personalità del maltrattante, emerge  la sindrome di burn-out. Tale sindrome indica una serie di fenomeni di affaticamento, logoramento, depressione e improduttività lavorativa in dipendenti inseriti in attività professionali a carattere sociale. Si tratterebbe di una risposta individuale ad una situazione lavorativa percepita come stressante e nella quale l’individuo non dispone di risorse e strategie, comportamentali o cognitive, adeguate a fronteggiarla.

La psichiatra americana C. Maslach nel 1975, studiando il fenomeno del burn-out, raggruppò tali manifestazioni psicologiche e comportamentali in tre componenti:

  • Esaurimento emotivo: sentirsi emotivamente svuotato e annullato dal proprio lavoro.
  • Depersonalizzazione: atteggiamento di allontanamento e di rifiuto nei confronti di coloro che richiedono o ricevono la prestazione professionale, l’educazione, il servizio o la cura.
  • Ridotta realizzazione personale: percezione della propria inadeguatezza al lavoro, caduta dell’autostima e sentimento di insuccesso.

Dunque l’insorgenza del fenomeno può essere dovuta a fattori socio-organizzativi quali le aspettative connesse al ruolo, le relazioni interpersonali, le caratteristiche dell’ambiente di lavoro, l’organizzazione stessa del lavoro e, infine, le variabili anagrafiche (sesso, età, stato civile). Tra queste l’età è quella che ha dato luogo a maggiori discussioni tra i diversi autori che si sono occupati dell’argomento e la maggior parte sostiene che l’età avanzata costituisca uno dei principali fattori di rischio di burn-out.

Difatti nella maggior parte dei casi di alunni maltrattati vengono individuati dei carnefici ormai alla soglia del pensionamento, con carriere prive di alcun ombra e nessuna traccia di sospetti o lamentele da parte di colleghi o genitori. Ragion per cui sorgono spontanee le domande: “il percorso professionale dell’insegnante presenta delle falle?”, e poi ancora “il percorso professionale dell’insegnante presenta dei difetti che possono portare a conseguenze negative?”.

Sicuramente dare origine a qualcosa di negativo ai danni di un minore significa ledere irreparabilmente la sua integrità. I maltrattamenti possono avere conseguenze sullo sviluppo, la maturazione e la futura socializzazione del bambino.     

L’articolo 571 del codice penale inserisce tra le fattispecie penalmente rilevanti l’abuso dei mezzi di correzione o di disciplina, affermando che: “chiunque abusa dei mezzi di correzione o di disciplina in danno di una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, ovvero per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito, se dal fatto deriva il pericolo di una malattia nel corpo o nella mente, con la reclusione fino a sei mesi”.

Sarebbe opportuno intervenire attraverso la prevenzione, ovvero richiedere l’utilizzo di test psicologici sui docenti al fine di valutare la tenuta del livello necessario per lavorare con i bambini e accertare l’idoneità ad un ruolo così delicato ed importante, nonché ripetere tale valutazione nel corso della carriera professionale. È anche indicato intervenire sul piano didattico-formativo al fine di inserire, nei programmi curriculari di coloro che affrontano percorsi scolastici con soggetti fragili, un’adeguata preparazione psicologica. 

Ricordiamoci che i bambini che vengono rispettati imparano a loro volta il rispetto; i bambini che vengono serviti imparano a servire i più deboli; i bambini che vengono amati per quello che sono imparano ad essere tolleranti. 

Dott.ssa Dalila La Bella